Domanda:
si può trasmettere la candida tra donne?
2007-01-26 13:01:15 UTC
si può trasmettere la candida tra donne?
Dodici risposte:
2007-01-27 12:05:39 UTC
La vaginite da Candida è un'infezione estremamente comune, caratterizzata da intenso prurito e da perdite vaginali biancastre (leucorrea) di aspetto caseoso, non maleodoranti.

Si tratta di un'affezione frequente nelle pazienti diabetiche, nelle gravide, nelle donne che assumono contraccettivi orali, antibiotici o corticosteroidi.

La trasmissione dell'infezione avviene nella maggior parte dei casi per via sessuale, tuttavia è opportuno ricordare che le reinfezioni possono avere come serbatoio di partenza l'intestino. La diagnosi di candidiasi si basa sull'identificazione delle ife e delle spore nell'essudato vaginale.

Il trattamento si avvale dell'impiego di antimicotici per uso locale e/o generale; circa il 15% dei partner di donne con vaginite da Candida presenta una balanite sintomatica che deve essere curata per evitare le reinfezioni delle pazienti.

Nonostante le terapie appropriate ed efficaci nell'eradicare le infezioni da Candida, esiste una quota pari al 5% di donne, con normale profilo ormonale, in cui la vaginite diventa ricorrente nonostante posseggano anticorpi Candida-specifici.

In questi casi è stato dimostrato che le recidive sono espressione di un difetto dell'immunità cellulo-mediata specifica per la Candida.

Infatti il 65% delle donne con vaginite recidivante mostra una ridotta risposta proliferativa dei macrofagi circolanti solo nei confronti della Candida, mentre la loro capacità fagocitante è conservata. Ciò è dovuto al fatto che il micete determina un'eccessiva produzione da parte dei macrofagi di prostaglandina E2 che a sua volta inibisce la loro capacità proliferativa.

Questi dati suggeriscono pertanto che per prevenire le vaginiti recidivanti da Candida è consigliabile associare alla terapia antimicotica anche un trattamento topico con Ibuprofene.

Clinicamente è stato evidenziato che nelle vaginiti da miceti l'aggiunta alla terapia antifungina di un trattamento topico con Ibuprofene-isobutanolammonio riduce più rapidamente i sintomi e i segni flogistici tipici di tale patologia (prurito, bruciore, leucorrea, arrossamento delle mucose).



P.S. X alyaly_ja... mi spieghi cosa c'entra la candida con il virus HIV?

sono molto curioso. ILLUMINAMI

;-) :-)
?
2017-02-08 05:57:48 UTC
Qui puoi trovare un efficente rimedio per la candida http://EliminareLaCandida.netint.info/?jKxD

La candidosi (o candidiasi) è un’infezione fungina causata da lieviti appartenenti al genere Candida. Ci sono almeno 20 specie che possono causare un’infezione negli esseri umani
2016-12-18 00:29:49 UTC
Quando sono andato a Nairobi ho trovato l’hotel su questo sito che ha prezzi veramente buoni https://tr.im/1iTQZ

Nairobi è una bellissima città ,si può definire una metropoli europea e sono rimasto piacevolmente sorpreso per gli edifici maestosi, per gli alberghi di lusso, per l’ordine che c’era quando passeggiavo per i viali alberati, per le strade ampie, per i parchi e i giardini così ricchi di profumi. La città presenta un inconfondibile marchio britannico, dovuto alla sua nascita, si pensi che Nairobi ha solo cento anni di vita o poco più. Ci sono inoltre il museo nazionale, il museo ferroviario , i teatri, l’università, il mercato, i negozi di arte africana,tutto veramente affascinante
?
2016-07-02 03:01:01 UTC
Yeast Infection Freedom System - http://YeastCured.uzaev.com/?Txws
Francesca
2014-05-08 09:09:26 UTC
Ciao, per quanto riguarda la cistite ci sono vari sintomi, io, per avere una indicazione prima di andare dal medico, mi sono trovata bene facendo questo test http://goo.gl/0dAjoH

spero possa aiutarti!
2007-01-26 13:17:59 UTC
ovvio..palese..contatto cn stessi oggetti..asciugamani..ecc ecc

chi si capisce si capisce..
gilbri57
2007-01-26 13:16:10 UTC
Si, attraverso il WC... asciugamani... ecc...
pupetta
2007-01-29 04:27:41 UTC
per illuminato... la candida provoca gravi infezioni opportunistiche nei soggetti immunodepressi che non sono solo i malati di AIDS, ma anche per esenpio i soggetti che sono stati sottoposti a chemioterapia... e non sempre la trasmissione è sessuale, come dicevi giustamente tu... la maggior parte delle infezioni è endogena perchè causata da patogeni opportunisti già presenti nel nostro organismo (per esempio nell'intestino). Non a caso per curare candidosi vaginali reciivanti è necessario avere un buon transito intestinale. In più sono molto frequenti per esempio le micosi da candida da pannolino, il mughetto orale dei bambini (che sono immunodepressi fisiologici) o il mughetto da dentiera... e non spargete la voce che chi soffre di candidosi vaginali è un promiscuo sessuale, perchè non è così ed a volte può causare veri e propri problemi psicologici... vero è che se hai la candidosi vaginale conviene bonificare anche il partner sessuale per evitare ridisseminazioni... Dimenticavo anche chi prende antibiotici è più soggetto... indipendentemente dalle abitudini sessuali.
tatatina88
2007-01-26 13:18:25 UTC
si si può trasmettere anche se un uomo va con una donna e poi con un altra..... anche se lui si lava..

la candida è un fungo e basta anche uno solo (invisibile all'occhio umano) perchè qst si riproduca e abbia luogo l'epidemia..

cmq esistono prodotti funghicidi per poter avere problemi senza infettarsi, basta che chiedi in farmacia!
kagura84
2007-01-26 13:09:28 UTC
è possibile venendo in contatto cn un oggetto.. ehm... si capisce no?
dontworrybehappy313
2007-01-26 13:10:13 UTC
ebbene si!
2007-01-26 13:57:28 UTC
Líinfezione da HIV colpisce con sempre maggiore frequenza donne eterosessuali in età riproduttiva. Il metodo contraccettivo impiegato svolge un ruolo importante nel modificare il rischio di contrarre il virus e nella diffusione e progressione della malattia.

In questo lavoro gli autori hanno passato in rassegna la letteratura sullíargomento allo scopo di esaminare criticamente le attuali conoscenze sulla correlazione tra metodo di contraccezione e infezione da HIV.



Heterosexual transmission of HIV is responsible for most cases of AIDS worldwide. As the HIV epidemic increasingly affects women of reproductive age, contraceptive choice may modify the risk of the acquiring HIV.

Authors summarize current knowledge about the relationship between contraception and HIV infection. A differenza degli anni '80, in cui vi era una prevalenza della trasmissione dell'infezione da HIV tra gli omosessuali maschi e tra coloro che impiegavano droga per via endovenosa, la trasmissione eterosessuale dell'HIV è attualmente responsabile della maggior parte dei casi di AIDS nel mondo ed è in costante crescita negli Stati Uniti ed in Europa [Haverkos e Quinn, 1995]. Una delle conseguenze dell'incremento della trasmissione eterosessuale dell'HIV è stato lo spostamento della proporzione maschi/femmine degli individui infettati dal virus [Centers for Disease Control, 1991; Conway et al., 1993].



Dal momento che l'HIV colpisce con sempre maggiore frequenza donne in età riproduttiva, il medico deve essere consapevole di come la scelta del metodo contraccettivo possa modificare il rischio di contrarre il virus e delle implicazioni di tale scelta nei confronti sia della prevenzione della gravidanza che della trasmissione dell'HIV, ovvero, per le donne HIV-sieropositive, sulla diffusione e progressione della malattia.



In questo lavoro abbiamo passato in rassegna la letteratura sull'argomento allo scopo di esaminare criticamente le attuali conoscenze sulla relazione tra metodo di contraccezione e infezione da HIV.



Trasmissione eterosessuale di HIV



Gli studi sulla trasmissione dell'HIV mediante rapporti eterosessuali in popolazioni a rischio riportano ampie variazioni nelle percentuali di acquisizione del virus da parte delle donne: la sieropositività all'HIV è infatti del 7-13% in mogli di emofilici [Allain, 1986; Centers for Disease Control, 1987; Jason et al., 1986; Ragni et al., 1989; Kreiss et al., 1985; Kim et al., 1988], del 22% in partner femminili di uomini bisessuali [Padian et al., 1987], del 42% in donne da lungo tempo partner di uomini che fanno uso di droga per via endovenosa [Padian et al., 1987], del 45% in partner femminili di uomini brasiliani con infezione da HIV [Guimaraes et al., 1995] e del 53% in mogli di uomini africani [Mann et al., 1986].



Sebbene, a livello teorico, si calcoli che per esposizione mediante rapporti sessuali vi sia un rischio di infezione pari allo 0,001-0,002 [Hearst e Hulley, 1988; Padian 1990], un'accurata valutazione del rischio di contrarre il virus risulta complicata dal fatto che tale rischio può non essere uniforme nell'ambito di una popolazione, come risultato sia di una differente contagiosità (una più facile trasmissione da parte di alcuni individui) [Wiley et al., 1989] sia di una differente suscettibilità all'infezione (alcuni individui rimangono sieronegativi malgrado ripetute esposizioni al virus [Kim et al., 1988; Petermann et al., 1988; Laga et al., 1989; Goedert et al., 1987; European Study Group, 1989] mentre altri vengono contagiati dopo una singola esposizione [Johnson et al., 1989]). Il rapporto tra esposizione e rischio di contrarre l'HIV non è ancora del tutto chiarito: vari studi non hanno infatti messo in evidenza una correlazione tra percentuale di sieropositività e numero di contatti con un partner infetto [Wiley et al., 1989; Petermann et al., 1988; European Study Group, 1989; Padian et al., 1990; Holmberg et al., 1989].



Sebbene alcuni studi riportino che le donne e gli uomini africani vengono contagiati in eguale percentuale [Belec et al., 1989; Latif et al., 1989; Carael et al., 1988], da altri studi emerge invece che le donne hanno un maggiore rischio di contrarre il virus [Petermann et al., 1988; Laga et al., 1989; European Study Group, 1989; Johnson et al., 1989; Padian et al., 1990; Padian et al., 1991]. In un recente studio condotto in Italia è stato visto che l'efficenza della trasmissione da uomo a donna era 2,3 volte maggiore di quella da donna a uomo [Nicolosi et al., 1994]. Ciò potrebbe essere dovuto alla più ampia superficie mucosa esposta al virus durante il rapporto sessuale ed alla durata di tale esposizione. Sebbene non vi siano dati empirici che lo sostengano, è stato ipotizzato che l'acidità del pH vaginale (che potrebbe avere un'azione virucida per l'HIV, riducendo così la contagiosità della donna) contribuisca a sbilanciare il rapporto di trasmissione maschio/femmina [Voeller e Anderson, 1992]. (Tuttavia è stato di recente osservato che non si verifica una sostanziale riduzione dell'infettività fino a quando il pH non è inferiore a 4,5 [O'Connor et al., 1995]). Di contro, è noto che l'HIV ha una buona capacità di sopravvivenza nello sperma che è relativamente alcalino ed ha una capacità tampone tale da poter prolungare la sopravvivenza del virus all'interno della vagina [Simonsen et al., 1990].



Per contrarre l'HIV non è necessario il traumatismo vaginale connesso con il rapporto sessuale, come dimostrato dal fatto che è stata documentata la sieroconversione in 4 donne su 8 a cui era stata praticata l'inseminazione artificiale con sperma proveniente da un donatore con infezione da HIV [Stewart et al., 1985].



Fattori non contraccettivi che



interferiscono con la trasmissione



del virus



Tra i fattori di rischio per la trasmissione eterosessuale dell'HIV vi sono [Padian et al., 1987; Goedert et al., 1987; European Study Group, 1989; Padian et al., 1990]:



- pregresse malattie sessualmente trasmesse (MST);



- rapporti sessuali con una persona affetta da AIDS;



- rapporti anali.



In Africa, un significativo fattore che facilita la trasmissione di HIV sarebbe costituito da malattie ulcerative genitali e in particolare il cancroide (ulcera da Haemophilus Ducreyi) [Simonsen et al., 1990; Plummer et al., 1991; Cameron et al., 1987, Cameron et al., 1989; Simonsen et al., 1988; Greenblatt et al., 1988; Piot et al., 1989; Laga et al., 1990; Kreiss et al., 1989]. Negli Stati Uniti e in Europa è stata messa in evidenza un'associazione tra HIV e malattie ulcerative a trasmissione sessuale quali l'herpes simplex, [Holmberg et al., 1988; Stamm et al., 1988; Kingsley et al., 1990], la sifilide e i condilomi genitali [Quinn et al., 1988; Lazzarin et al., 1991; Hook, 1989]. Le ulcere genitali potrebbero aumentare il rischio di trasmissione sia in quanto possibile porta d'entrata del virus sia in quanto le cellule infette (ad es. da sifilide o herpes simplex) sono più suscettibili delle altre cellule all'infezione da HIV [Stamm et al., 1988].



Anche MST non ulcerative, quali la gonorrea, la trichomoniasi o l'infezione da Chlamydia trachomatis, comportano un aumento del rischio di contrarre l'infezione da HIV [Plummer et al., 1991; Piot et al., 1989; Laga, 1990; Wasserheit, 1992].



Altri fattori che possono aumentare il rischio del contagio alterando le difese dell'epitelio e della mucosa genitale, sono:



- l'ectropion cervicale [Moss et al., 1990];



- l'impiego di agenti astringenti ed essiccanti vaginali da parte di donne africane [Brown et al., 1992; Dallabetta et al., 1990; Mann et al., 1988];



- l'impiego di tamponi vaginali ad alta capacità di assorbimento [Berkeley et al., 1985; Goedert et al., 1988];



- la non circoncisione del maschio (che facilita la possibilità di microabrasioni) [Cameron et al., 1989; Simonsen et al., 1988; Greenblatt et al., 1988; Moss et al., 1990; Hira et al., 1990; Krantz e Ahlberg, 1995].



Anche lo stato immunitario precedente all'infezione da HIV può svolgere un ruolo determinante per il rischio di contrarre il virus. A favore di tale ipotesi depongono i seguenti dati:



1) la maggiore attivazione immunitaria, rispetto a gruppi di controllo, tra gruppi a rischio per l'HIV [Quinn et al., 1987];



2) il fatto che i linfociti T attivati e a riposo abbiano una differente suscettibilità all'HIV e una differente capacità di favorire la replicazione virale [McDougal et al., 1985; Margolick et al., 1987];



3) la sieronegatività persistente in prostitute africane altamente esposte con alcuni tipi di antigeni leucocitari umani [Plummer et al., 1993].



Tuttavia non si hanno informazioni definitive se la stimolazione immunitaria o il tipo di antigene leucocitario umano modulino la suscettibilità delle cellule del tratto genitale [Howe et al., 1994].



Poco si conosce sul ruolo che può svolgere l'immunità della mucosa del tratto genitale nel ridurre la trasmissione dell'infezione da HIV [Belec et al., 1989; Archibald et al., 1987]. Il fatto che solo alcuni specifici tipi di virus vengano trasmessi per via sessuale fa ritenere che i meccanismi immunitari naturali possano limitare la trasmissione sessuale [Simmonds et al., 1992; Zhu et al., 1993].



Il potenziale ruolo delle risposte immunitarie locali è stato studiato in femmine di macaco rhesus, impiegando l'antigene microincapsulato del virus dell'immunodeficienza delle scimmie (SIV) per stimolare la comparsa di anticorpi vaginali [Marx et al., 1993]. Tre animali su 6 con, e nessuno su 4 senza, anticorpi vaginali (IgG, IgA e IgM) erano protetti contro successive inoculazioni vaginali con SIV.



Cellule bersaglio del tratto



riproduttivo femminile



In individui sieropositivi l'HIV è stato identificato:



- nelle secrezioni cervicali e vaginali [Van de Perre et al., 1988; Vogt et al., 1986; Wofsy et al., 1986; Vogt et al., 1987];



- nello sperma [Borzy et al., 1988; Olsen e Shields, 1984; Anderson et al., 1992; Krieger et al., 1991];



- nel liquido pre-eiaculatorio [Pudney et al., 1992; Ilaria et al., 1992].



In tali liquidi biologici sono stati riscontrati sia leucociti infetti che privi del virus e si è ipotizzato che i primi possano mediare la trasmissione sessuale dell'infezione da HIV [Levy, 1988; Donegan et al., 1990].



Lo specifico bersaglio per la penetrazione virale nel tratto genitale femminile non è stato identificato. Antigene virale è stato trovato nei macrofagi, monociti, linfociti e nelle cellule endoteliali della sottomucosa cervicale, prevalentemente nel tessuto perivascolare. Utilizzando i markers per il rilevamento del virus non si è riuscito ad identificare HIV in campioni di tessuto vaginale o di epitelio cervicale [Van de Perre et al., 1988; Donegan et al., 1990; Pomerantz et al., 1988]. Nella scimmia, le cellule infette da SIV sono state identificate, piuttosto che in altre aree, nella sottomucosa cervicale e vaginale e nell'epitelio squamoso stratificato della mucosa vaginale con i foci infiammatori contenenti un maggior numero di cellule SIV-positive (soprattutto macrofagi) [Miller et al., 1992].



Miller et al. (1992) ha dimostrato l'infezione sistemica dopo inoculazione di SIV libero nella cavità vaginale a fondo cieco di macachi femmina isterectomizzati, dimostrando quindi che l'esposizione del tratto genitale superiore non è un prerequisito per la trasmissione del SIV. Che l'esposizione della sola vagina possa esitare in infezione da HIV è stato dimostrato anche da un caso di trasmissione del virus per via sessuale in una donna con atresia vaginale e con assenza congenita della cervice e dell'utero [Kell et al., 1992].



Le superfici mucose vaginali, endocervicali ed esocervicali, nonché la zona di trasformazione possono essere bersaglio del virus SIV (e quindi anche dell'HIV) in quanto vi sono cellule di Langherhans (che sono CD4+) e cellule con complesso maggiore di istocompatibilità II-positive, che fungono da cellule bersaglio per i suddetti virus [Lehner et al., 1991]. (Interessante è il fatto che i linfociti intraepiteliali bersaglio si trovino in tutti i punti di cui sopra ed in particolare numerosissimi nella zona di trasformazione [Edwards et al., 1985]). Queste cellule infette possono avere la funzione di serbatoio per il virus [Edwards et al., 1985] permettendogli di arrivare indisturbato ai noduli linfatici di drenaggio (dove può aversi così un secondo turno di replicazione) e quindi diffondersi nei più distanti tessuti linfatici [Miller et al., 1992]. Si è anche ipotizzato che l'HIV infetti le superfici mucose legando i complessi di anticorpi-HIV alle cellule epiteliali genitali CD4-negative attraverso i recettori Fc per le IgG [Lehner et al., 1991].



METODI DI BARRIERA



Preservativo



Sebbene il tasso di fallimento contraccettivo del preservativo vari dal 2 al 13%, in rapporto alla popolazione studiata, tuttavia è il metodo contraccettivo che ha la maggiore capacità di proteggere dalle MST e dall'AIDS [Faundes et al., 1994]. Studi clinici e di laboratorio indicano che il preservativo è una barriera efficace per l'herpes simplex [Judson et al., 1989; Smith et al., 1981], il cytomegalovirus [Katznelson et al., 1984], il virus dell'epatite B [Minuk et al., 1986], la Chlamydia trachomatis [Judson et al., 1989] e la Neisseria gonorrhoeae. L'efficacia del preservativo in lattice come barriera meccanica alla trasmissione dell'HIV è stata dimostrata in vitro [Judson et al., 1989; Rietmeijer et al., 1988; Conant et al., 1986].



In vivo, numerosi studi hanno dimostrato l'efficacia del preservativo per la prevenzione della trasmissione dell'infezione da HIV, anche se sono stati riportati alcuni casi di trasmissione anche in soggetti che usavano il preservativo. Tali studi sono stati condotti su mogli di individui affetti da emofilia [Fischl et al., 1987; Goedert, 1987], su operatori sanitari di sesso femminile di una clinica per malattie sessualmente trasmesse [Quinn et al., 1988], su partner femminili di uomini HIV-sieropositivi [Lazzarin et al., 1991; Gervasoni et al., 1992], su coppie discordanti (in cui solo uno dei partner è infetto) nello Zambia [Feldblum et al., 1992] e su prostitute nello Zaïre [Mann et al., 1988; Mann et al., 1987] e in Kenia [Ngugi et al., 1988].



In tali studi la potenziale efficacia del preservativo per la prevenzione della trasmissione dell'HIV, potrebbe però essere sottostimata date la difficoltà per la determinazione sia del periodo di esposizione al partner infetto sia della frequenza dell'uso del preservativo durante il periodo di rischio. Alcune analisi, inoltre, non considerano separatamente i soggetti che fanno uso costante da quelli che invece fanno uso occasionale del preservativo; se la trasmissione si verifica tra coloro che usano il preservativo occasionalmente, l'efficacia potenziale del preservativo sarà, quindi, sottostimata.



Solo in quattro studi sono stati analizzati separatamente i casi in cui l'impiego del preservativo era costante da quelli in cui l'impiego era occasionale [European Study Group, 1989, 1992 e De Vincenzi, 1993; Laurian et al., 1991; Saracco et al., 1993; Kamenga et al., 1991].



In uno degli studi il gruppo di controllo era costituito da coppie che usavano il preservativo in maniera sistematica (ad es., il preservativo usato durante il periodo fertile del ciclo mestruale, ma non usato quando il concepimento sembrava più improbabile); mentre negli altri studi venivano confrontate coppie che usavano il preservativo per tutti i rapporti sessuali con coppie che lo usavano in maniera mista. Nell'European Study Group [ESG 1989, ESG 1992 e De Vincenzi, 1993], così come in uno studio meno esteso condotto su coppie in cui uno dei partner era emofilico [Laurian et al., 1991], non sono stati riportati casi di sieroconversione tra le coppie che usavano il preservativo costantemente contro il 10-18% di casi di sieroconversione nei gruppi di controllo. Uno studio condotto in Italia su donne partner di uomini HIV-positivi ha messo in evidenza che l'impiego incostante del preservativo non aveva un effetto protettivo; di contro, facendo un'analisi multivariata di tali dati, si è visto che l'impiego costante del preservativo riduceva del 90% il rischio di infezione [Saracco et al., 1993]. In un altro studio, condotto nello Zaïre, la percentuale di trasmissione tra individui che utilizzavano costantemente il preservativo era del 4%, rispetto al 20% circa del gruppo di controllo [Kamenga et al., 1991]. Tuttavia, tra le coppie che riferivano di impiegare il preservativo in maniera costante ed in cui si era verificata la sieroconversione, si è verificato un caso di gravidanza, un caso di rottura e numerosi episodi di uretrite; tra tali coppie che riferivano un uso costante del preservativo si sono verificati fallimenti per cause di tipo meccanico e, forse, per errori comportamentali.



L'impiego costante e corretto di tale contraccettivo di barriera fornisce quindi un elevato livello di protezione, anche se deve essere considerato il rischio che possa rompersi o scivolare via [Richter et al., 1995] e la possibile permeabilità di alcuni tipi di preservativo in lattice al virus [Voeller et al., 1994].



Diaframma



Anche se non si hanno dati precisi, l'efficacia del diaframma nel prevenire la trasmissione dell'HIV dovrebbe essere scarsa in quanto il diaframma ricopre solo la cervice ed è stato dimostrato, sia nella donna che nella macaco femmina, che per contrarre l'infezione da HIV è sufficiente l'esposizione della sola vagina [Miller et al., 1992; Kell et al., 1992]. Non deve inoltre essere sottovalutato il rischio di lesioni genitali, connesse all'impiego del diaframma, che potrebbero favorire la penetrazione del virus [Bernstein et al., 1993].



Preservativo femminile



Il preservativo femminile (PF), costituito da un involucro di poliuretano lubrificato, per la sua peculiare forma, permette non solo la protezione della vagina, ma anche, fino a dove è possibile, delle piccole e grandi labbra.



In uno studio, condotto nell'arco di 6 mesi, sull'impiego del PF per la prevenzione della gravidanza in 147 donne americane, la percentuale di fallimento è stata del 26% all'anno [Centers for Disease Control, 1993]. Soper et al. (1991) ha visto che l'impiego di tale contraccettivo non provoca una significativa azione traumatica o modificazioni della flora vaginale. In vitro il PF si è dimostrato un'efficace barriera fisica nei riguardi dell'HIV e il Cytomegalovirus [Drew et al., 1990]. Gli scarsi dati disponibili in vivo sull'efficacia potenziale del PF per la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale provengono da uno studio [Soper et al., 1993] sulla re-infezione da Trichomonas dopo trattamento in cui è stato visto che nessuna delle 20 donne che usavano il PF con compliance è stata nuovamente contagiata, mentre 5 su 34 (14,7%) delle donne che lo usavano con scarsa compliance e 7 su 55 (14%) donne che non lo usavano affatto sono state contagiate nuovamente.



Anche se finora non sono stati pubblicati i risultati degli studi clinici intrapresi per valutare l'efficacia del PF nei riguardi della trasmissione dell'HIV, tale metodo - gestibile direttamente dalla donna - è di indubbio interesse per la prevenzione del rischio di trasmissione dell'HIV sia direttamente che mediante la riduzione del contagio di altre MST che possono favorire la trasmissione dell'HIV [Park e Kim, 1994].



SPERMICIDI E VIRUCIDI



Negli ultimi decenni vari studi in vitro ed in vivo, condotti sul Treponema pallidum, sulla Neisseria gonorrhoeae, sulla Chlamydia trachomatis e sugli Herpes virus 1 e 2 hanno evidenziato l'attività antimicrobica degli spermicidi contro patogeni responsabili di MST [Messana et al., 1995].



Dal 1950, lo spermicida più largamente usato negli Stati Uniti (e presente anche in alcune preparazioni spermicide in commercio in Italia) è il nonoxynol-9 (N-9). Tale composto è disponibile in varie preparazioni (schiume, creme, gel, ovuli, pellicole, spugne contraccettive imbevute, aggiunto al preservativo) a concentrazioni che variano dal 2 al 6% nelle creme, fino ad arrivare al 18% ed oltre nei preservativi.



Numerosi lavori hanno dimostrato che il N-9 ha un certo effetto sulle infezioni batteriche, micotiche e virali del tratto genitale femminile. Da studi condotti in vitro è stata evidenziato un'effetto protettivo del nonoxynol-9 nei riguardi del gonococco ma non verso la Chlamydia [Kappus e Quinn, 1986] mentre tale composto non ha effetto contro la Candida [McGroarty et al., 1990; Shubairk e Larsen, 1990]. Altri studi in vitro hanno dimostrato un effetto tossico selettivo del nonoxynol-9 sui lattobacilli, che favoriva la crescita eccessiva nel mezzo di coltura dell'Escherichia coli; ciò potrebbe essere causa, in vivo, di variazioni del pH vaginale [Klebanoff, 1992]. In vivo, è stata attribuita all'uso di spermicidi la maggiore frequenza di batteriuria da Escherichia coli [Hooton, 1991]. In trial clinici, è stato visto che l'impiego del N-9 si associava ad una minore incidenza di infezioni da Chlamydia [Rosenberg et al., 1987; Louw et al., 1988], di gonorrea [Rosemberg et al., 1987; Barbone et al., 1990], di trichomoniasi [Barbone et al., 1990] e di vaginosi batterica [Barbone et al., 1990], ma non di candidiasi [Rosenberg et al., 1987; Barbone et al., 1990].



Gli spermicidi potrebbero quindi esercitare un effetto indiretto sulla trasmissione dell'HIV anche mediante la riduzione di alcune malattie a trasmissione sessuale.



Nel 1985 è stato dimostrato che il nonoxynol-9 in vitro inattiva sia l'HIV intracellulare che il virus libero, a concentrazioni notevolmente inferiori rispetto a quelle che si ritiene essere presenti in vagina quando usato come spermicida [Hicks et al., 1985]; tale attività è stata confermata anche da successivi studi in vitro [Malkovsky et al, 1988; Judson et al., 1989; Jennings e Clegg, 1993]; con il nonoxynol-9 allo 0,05% l'inattivazione dell'HIV si verifica entro 60 secondi [Hicks et al, 1985; Polsky et al, 1988]. In vivo tuttavia la sua efficacia come virucida non è stata documentata. Prove a sostegno dell'utilità del nonoxynol-9 nel limitare la trasmissione dell'HIV sono fornite dagli studi sul SIV [Miller et al., 1990; 1992]. Miller et al. ha introdotto nella vagina di 6 femmine di macaco una dose di nonoxinol-9 e una dose di SIV in una quantità tale che, in precedenti esperimenti, aveva provocato sieroconversione nel 100% dei casi. Con il nonoxynol-9 soltanto 3 della scimmie rimasero infette; analoghi risultati si sono avuti anche con la schiuma e il gel [Miller, 1992]. Dato lo scarsissimo numero di animali sottoposti a questi esperimenti, il grado dell'effetto protettivo del nonoxynol-9 è difficile da valutare.



I dati sull'efficacia del nonoxynol-9 nella donna provengono da studi condotti su donne che usavano sia barriere chimiche (nonoxynol-9) che meccaniche (preservativo). Uno studio condotto in Zambia, non ha evidenziato, con l'impiego del nonoxynol-9, una minore percentuale della trasmissione di HIV; (RR = 0,9 per un uso costante di N-9 rispetto ad un uso saltuario) [Feldblum, 1992]. In un altro studio condotto in Camerun su 273 prostitute, seguite per una media di 8 mesi, l'impiego di spermicidi aveva invece comportato una diminuzione del rischio di infezione da HIV (RR = 0,3) [Zekeng et al., 1993]. Tuttavia la maggior parte di queste donne usavano anche il preservativo durante la maggior parte dei rapporti sessuali. Non è noto se in questa analisi, che non distingueva tra uso costante e uso occasionale del preservativo, siano state effettuate le adeguate correzioni per quanto riguarda l'uso del preservativo nella trasmissione dell'HIV.



Il ruolo del nonoxinol-9 nell'aumentare il rischio di acquisizione dell'HIV da parte della donna provocando lesioni dell'epitelio genitale, non è ancora del tutto chiarito.



Nel luglio 1990 uno studio randomizzato condotto a Nairobi (Kenia), su prostitute venne prematuramente interrotto in quanto l'elevato tasso di sieroconversioni HIV tra coloro che usavano spugne contraccettive contenenti 1000 mg di N-9 venne attribuito alla maggiore incidenza di ulcere genitali tra le donne che usavano la spugna rispetto a quelle che usavano una crema placebo o ovuli vaginali lubrificanti [Kreiss et al., 1992]. Sebbene in tale trial fosse stato consigliato a tutte le donne di usare il preservativo in aggiunta agli spermicidi, si è infatti avuto un tasso di sieroconversione del 45% (27 su 60) tra le donne che usavano spugne impregnate di N-9 versus il 36% (20 su 56) tra quelle che usavano crema o ovuli placebo. (tasso di rischio = 1,7; 95% CI 0,9-3,0). Tale studio è stato però criticato sul piano metodologico, in quanto le donne trattate impiegavano alte dosi di N-9 (in media 14 spugne con 1000 mg di N-9 a settimana) mentre il gruppo di controllo impiegava ovuli placebo: le spugne stesse potevano infatti avere causato ulcerazioni per traumatismo meccanico [Stone e Peterson, 1992].



Le lesioni dell'epitelio genitale sembrano essere correlate alla frequenza dell'uso di N-9. In uno studio pilota condotto in Thailandia da Niruthisard et al. (1991), in 6 su 14 (43%) delle donne che usavano nonoxynol-9 intravaginale 4 volte al giorno si verificarono lesioni epiteliali colposcopicamente evidenti versus nessuna lesione in quelle che usavano placebo. In ampio studio condotto nella Repubblica Domenicana sono stati confrontati con placebo quattro diversi regimi di dosaggio di 150 mg di nonoxynol-9 (a giorni alterni, giornalmente, 2 volte al giorno e 4 volte al giorno) su 150 donne [Roddy et al., 1992 e 1993]. L'impiego giornaliero, ma non quello a giorni alterni, era associato ad una maggiore prevalenza di lesioni epiteliali; con il dosaggio di 4 volte al dì si ebbe un aumento di 5 volte, rispetto al placebo, di lesioni epiteliali. Chvapil et al. (1980) ha documentato una risposta cellulare infiammatoria dose-correlata al nonoxynol-9 nell'epitelio vaginale di conigli e ratti. Tale composto contiene alti livelli di perossido che possono essere responsabili, in caso di uso frequente, di flogosi e lesioni tissutali [Klebanoff, 1992].



Tuttavia un recente studio [Weir et al., 1995] sulla stessa coorte di prostitute del Camerun in cui si era avuto un ridotto rischio di infezione da HIV [Zekeng et al., 1993] ha evidenziato che dosi moderate di N-9 (ovuli da 100 mg) ed una relativamente minore frequenza di uso non solo non aumentano il rischio di lesioni ulcerative genitali ma anzi ne riducono l'incidenza (sia per l'azione lubrificante che riduce il traumatismo epiteliale durante il rapporto sessuale sia per la probabile azione protettiva nei riguardi di MST che, come la sifilide, provocano ulcere genitali).



Non vi sono dati che dimostrino se la lubrificazione del preservativo con il nonoxynol-9 fornisca una protezione maggiore. In uno studio, 4 prostitute su 25 riferirono di non usare preservativi a causa dell'irritazione vaginale attribuita al nonoxynol-9 [Rekart et al., 1990], il che ha fatto suggerire un minor uso del nonoxynol-9 nei preservativi [Bird, 1991].



CONTRACCETTIVI ORMONALI



L'effetto dell'uso dei contraccettivi ormonali sull'acquisizione dell'HIV rimane controverso. Simonsen et al. (1990), avendo osservato una maggiore prevalenza di infezioni da HIV tra le prostitute di Nairobi che usavano contraccettivi orali, ha suggerito la possibilità che il loro impiego possa favorire l'acquisizione del virus. L'impiego di metodi di barriera tra le partecipanti allo studio era raro e l'associazione tra l'impiego dei contraccettivi orali e la sieropositività per HIV persisteva anche dopo aver corretto l'analisi dei dati per altre covariabili. È stata anche vista una correlazione modesta con la durata d'uso.



In uno studio a coorte condotto su 595 prostitute di Nairobi, Plummer et al. (1991) ha documentato un aumentato rischio di sieroconversione associato con l'impiego di contraccettivi orali [rapporto di sieroconversione 3,1 più alto rispetto a quelle che non usavano contraccettivi orali (95 CI = 1,1-8,6), dopo aver tenuto conto della presenza di malattie ulcerative genitali e di altri fattori]. Altri Autori hanno però messo in discussione la validità di questi risultati sia per la metodologia statistica impiegata (il rischio relativo, che può essere statisticamente più appropriato per questi dati, raccolti prospetticamente, era pari a 1,4 cioè di significato borderline) sia a causa di un possibile bias di selezione che può essersi verificato (la metà di coloro che usavano i contraccettivi orali si è persa durante il follow-up) [Roddy e Feldblum, 1991]. Altri studi condotti a Nairobi, in Uganda e in Brasile hanno rilevato un'associazione indipendente tra uso di contraccettivi orali e infezione di HIV [Plourde et al., 1992; Hitti et al., 1992; Guimaraes et al., 1992 e 1995; Boschi et al., 1992]. L'aumentato rischio di contagio potrebbe essere correlato con la maggiore area di ectropion cervicale presente nelle donne che usano contraccettivi orali, che potrebbe aumentare il numero delle cellule suscettibili di contagio da HIV [Plummer et al., 1991; Moss et al., 1990; Pattulo et al., 1992]; uno studio condotto a Nairobi su coppie non ha però evidenziato un'associazione tra ectropion cervicale e positività all'HIV del partner femminile [Moss et al., 1991]. Altri possibili fattori di aumento del rischio potrebbero essere: aumentati tassi di cervicite da Chlamydia e di candidiasi [Wolner-Hanssen, 1986] e un effetto immunosoppressivo diretto dei contraccettivi orali [Simonsen et al., 1990; Grossman, 1985]. Tutti questi meccanismi rimangono però soltanto teorici anche se l'impiego di contraccettivi orali potrebbe essere un marker per alcuni altri fattori di rischio non identificati [Howe et al., 1993].



L'associazione tra contraccettivi orali e infezione da HIV non viene però riportata da tutti i ricercatori. In uno studio condotto su pazienti di consultori per la pianificazione familiare di Nairobi non è stata evidenziata alcuna associazione tra l'uso di contraccettivi orali e positività all'HIV [Mati et al., 1991]. In uno studio condotto in Italia, l'uso dei contraccettivi orali si associava a riduzione del rischio di infezione da HIV [Lazzarin et al., 1991]. In un'analisi su 524 partner eterosessuali di pazienti sieropositivi, l'uso di contraccettivi orali è stato associato con un OR di 0,4 (CI 0,3-0,7) per l'infezione da HIV [Gervasoni et al., 1992]. Nel corso del follow-up di 134 partner femminili sieronegative di uomini con infezione da HIV che usavano il preservativo in maniera non costante, in 16 su 123 che non usavano contraccettivi orali si verificò la sieroconversione; non è stata invece osservata sieroconversione tra le 11 che usavano contraccettivi orali (P = non significativo) [Saracco et al., 1993]. Per spiegare tale fenomeno gli AA. hanno proposto meccanismi protettivi quali un possibile rafforzamento ormonale del sistema immunitario o l'ispessimento del muco cervicale. Tuttavia il ruolo del muco cervicale per la protezione contro la trasmissione dell'HIV sarebbe limitato dato che comunemente la trasmissione si verifica per via transvaginale [Howe et al., 1994] e d'altro canto gli estrogeni potrebbero abbassare l'immunità cellulo-mediata mediante una diretta soppressione delle plasmacellule della mucosa, diminuendo il livello delle IgA secretorie [Forrest, 1991].



Deve essere tenuto presente che negli studi su uso di contraccettivi orali e trasmissione dell'HIV, l'esposizione al virus è difficile da determinare con accuratezza data la presenza di fattori confondenti [Roddy e Feldblum, 1991], specialmente in studi che non coinvolgono coppie.



DISPOSITIVO INTRAUTERINO (IUD)



Fathalla (1990) ha ipotizzato che l'impiego dello IUD, provocando un certo traumatismo a livello endometriale, possa aumentare il rischio di infezione da HIV. L'Italian Study Group [Lazzarin et al., 1991], ha riscontrato un rapporto di probabilità (OR) lordo per la sieropositività all'HIV di 2,6 in donne che avevano qualche volta usato lo IUD rispetto al 3,2 in donne che lo avevano sempre usato. Successivi lavori dello stesso gruppo di studio hanno continuato a riportare un incremento del rischio di infezione associato con l'uso di IUD (OR 2,1; CI 95% 1,1-4,1) [Gervasoni et al., 1992]. Analogamente, dai risultati preliminari di una ricerca su 2.009 donne della Tanzania (di cui il 12,5% era HIV-positivo) si evidenzia un'associazione tra l'uso costante dello IUD e la sieropositività all'HIV (OR = 3,03; 95% CI, 1,68-5,47), dopo correzione dei dati per altre covariabili (stato coniugale, numero dei partner, impiego del preservativo, etc.) [Kapiga et al., 1992]. Tale aumentata suscettibilità all'infezione da HIV potrebbe essere dovuta a lesioni dell'epitelio, ai flussi mestruali prolungati (che determinano un denudamento dell'endometrio) e ad un aumentato rischio per altre infezioni che potrebbero facilitare l'acquisizione dell'HIV.



Tuttavia, altri studi, come quello effettuato in Kenia su 4.304 pazienti di consultori per la pianificazione familiare, non hanno rilevato alcuna associazione tra impiego costante dello IUD e sieropositività per l'HIV (RR 1,25; CI 95%; 0,77-2,09) [Mati et al., 1991].



L'uso dello IUD è stato anche ritenuto responsabile di un aumento dell'incidenza di malattia infiammatoria pelvica (PID) [Messana, 1988]. Tuttavia studi più recenti, in cui sono state messe a confronto utenti di IUD con controlli che non usavano alcuna contraccezione (invece di donne che usavano contraccettivi orali o metodi di barriera), riportano un'associazione meno marcata: l'aumento del rischio di PID è infatti prevalentemente limitato ai 20 giorni successivi all'inserimento dello IUD [Farley et al., 1992]. Tuttavia, l'impiego dello IUD da parte di donne con multipli partner sessuali, è associato con un aumento delle percentuali di incidenza di PID e di sterilità tubarica [Kessel, 1989; Grimes, 1987].



STERILIZZAZIONE



La legatura delle tube, sebbene altamente efficace per la prevenzione delle gravidanze, non ha alcun effetto noto sul rischio della trasmissione dell'HIV. In teoria, non dovrebbero esservi ne effetti benefici, ne effetti dannosi.



Sono stati pubblicati solo pochi lavori sull'effetto della vasectomia sulla carica virale dell'HIV nel liquido seminale. Dati preliminari suggeriscono che, sebbene la vasectomia avesse ridotto la carica virale nel liquido seminale, dopo tale intervento possono tuttavia persistere alti livelli di leucociti e di HIV [Alexander, 1991; Anderson et al., 1991]. Di conseguenza la vasectomia non può essere considerata un metodo affidabile per la prevenzione della trasmissione dell'HIV.



Conclusioni



- Dai dati della letteratura emerge che i metodi di barriera hanno un'azione protettiva nei riguardi dell'infezione da HIV (e di altre MST che possono avere un ruolo favorente l'infezione da HIV). Da una recente rassegna [D'Oro et al., 1994] di 22 lavori che esaminavano in vitro la impermeabilità dei metodi contraccettivi di barriera (BMC) per gli agenti delle MST e di 60 studi epidemiologici sul rischio di MST in utenti di BMC, è emerso che, in vitro, sia i BMC che gli spermicidi sono efficaci contro la maggior parte degli agenti trasmissibili sessualmente; tuttavia rimangono dei dubbi sull'efficacia dei BMC e degli spermicidi nelle normali condizioni di uso, specie nei riguardi del papillomavirus umano. I preservativi in membrane naturali non sono invece impermeabili e mediante il microscopio elettronico sono evidenziabili dei pori. Gli studi epidemiologici mostrano che con il preservativo si ha una consistente riduzione del rischio nei riguardi del gonococco (RR da 0,4 a 0,6) e dell'infezione da HIV (RR tra 0,3 e 0,6 ).



- Gli spermicidi proteggono la donna nei riguardi della gonorrea e trichomoniasi; il loro ruolo contro le altre MST è meno chiaro ed è stato visto che possono avere un effetto irritante, che sembra essere dose-dipendente, sulla mucosa vaginale. Date le costanti rilevazioni di irritazioni vaginali e cervicali associate con l'uso frequente di spermicidi, molti ricercatori ritengono che queste preparazioni non sono adatte per la prevenzione dell'HIV in popolazioni altamente esposte come le prostitute. L'efficacia degli spermicidi per la prevenzione dell'HIV in popolazioni a più basso rischio rimane controversa; gli effetti di regimi di dosaggio come pure il tipo e la formula del prodotto spermicida [Chantler, 1990] (veicolo, quantità di N-9 o di altri spermicidi e presenza di un corpo estraneo potenzialmente irritante come la spugna) meritano ulteriori ricerche [Howe et al., 1994].



- La quantità di N-9 usualmente impiegata come spermicida nel rapporto sessuale è pari a 100 mg di sostanza: questa quantità è, comunque, circa 30 volte maggiore che l'ED100 (la più bassa concentrazione di nonoxynol-9 che, in vitro, provoca la totale perdita della motilità degli spermatozoi dopo un minuto dal contatto), che è di circa 0,3 mg/ml. Di conseguenza le concentrazioni abitualmente usate potrebbero essere ridotte senza compromettere l'efficacia protettiva del contraccettivo e ciò diminuirebbe non solo il rischio di comparsa di irritazioni o lesioni vaginali, ma anche il rischio di penetrazione di patogeni responsabili delle MST. Infatti, un danno all'epitelio vaginale potrebbe comportare un aumento della popolazione di T-linfociti e macrofagi con conseguente aumento del rischio di infezione da HIV.



- I dati attualmente disponibili non indicano che la lubrificazione del preservativo con nonoxynol-9 ne aumenti l'efficacia; per la prevenzione dell'HIV, i Centers for Disease Control (1993) raccomandano l'impiego del preservativo in lattice con o senza spermicida.



- Gli altri metodi di barriera (diaframma, cappuccio cervicale, preservativo femminile) sembrano essere meno efficaci del preservativo maschile in lattice per la protezione della trasmissione da HIV; tuttavia nella pratica clinica, il loro ruolo non deve essere sottovalutato [Gollub et al., 1995]. Non tutte le donne infatti (a causa di pregiudizi culturali, timore di offendere la persona amata, bassa autostima, minaccia di violenza, ostracismo ed altri fattori) sono disposte o capaci di imporre al partner l'uso del preservativo maschile per la prevenzione dell'HIV. Le donne devono quindi essere adeguatamente informate sui metodi di barriera o chimici che possono controllare ed impiegare senza dover richiedere la collaborazione del partner, per ridurre il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmesse (tra cui l'HIV) [Cleary et al., 1995; Forbes et al., 1995].



- La possibilità che i contraccettivi orali aumentino il rischio della trasmissione dell'HIV rimane controversa. Cionondimeno questi dati richiedono ulteriori ricerche poiché qualsiasi reale correlazione tra uso di contraccettivi orali e infezione da HIV avrebbe delle implicazioni importanti sia per la pianificazione familiare che per la prevenzione delle MST [Howe et al, 1994; Daly et al., 1994]. Considerando che non vi sono dati che indicano che l'impiego dei contraccettivi orali protegga contro l'acquisizione dell'infezione da HIV, è quindi consigliabile per coloro che sono a rischio sia per l'HIV che per malattie a trasmissione sessuale l'impiego aggiuntivo di un metodo di barriera.



- Data la possibilità di un aumentato rischio di infezioni del tratto genitale distale nelle donne portatrici di IUD, tale metodo non è in genere raccomandato per le donne a rischio di MST, compreso l'HIV.e tutto quello che ho trovato.Spero di esserti stata in qualche modo di aiuto:Un bacio Aly


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
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